mercoledì 30 settembre 2009

Orrori a Venezia


Inauguro una nuova rubrica, "L'assurdità comica della cinematografia", con i film più incredibili nonché privi di senso, talmente tanto da risultare comici, che io abbia mai visto.

Questi sono i primi tre, ma ce ne sono altri pronti che riporterò nei prossimi giorni, tanto per dare un po' di suspance all'iniziativa.

  • Touxi: film del grande regista mandarino. La storia di un giudice che condanna un tizio, di un tizio che non vuole dare il suo fegato a un altro tizio che vuole il fegato e c'ha i soldi. Tutto questo in due ore e passa di lentezza abissale. Una rappresentazione della staticitià di un film che è passato alla censura del regime. Realismo esasperato.[Dopo cena, il prode F., che sarei io, avvicina la troupe che è seduta al suo stesso ristorante e chiede l'autografo all'attore principale: egli, dopo circa 12 traduzioni ad opera dei suoi accompagnatori, acconsente commuovendosi. Il resto della delegazione scatta foto al fan improvvisato applaudendo e baciandolo. Una storia d'altri tempi]

  • Café Noir: Un film bellissimo, in cui c'è tutto il mondo. E non solo perché dura 209 minuti. Il fantastico protagonista è alla ricerca di sé stesso: è innamorato di una donna sposata con uno scemo, e la figlia dello scemo e dell'amata è invaghita anche lei di lui che è un professore. C'è un'altra donna che invece va dietro al professore, che lascia a lei solo i piaceri fisici senza filarsela de pezza. Ma lui continua a sbattersene e a soffrire e a far soffrire questa poveraccia che peraltro non capisce che a lui non importa un fico secco di lei (chissà perché si dice un "fico secco"). A un certo punto va dal ferramenta e chiede un martello per spaccare la testa allo scemo. Però proprio quando lo sta per fare lo scemo si sveglia e tutto va a puttane. Lui parte e dopo aver camminato sulle acqua, conosciuto una di cui si innamora che prima gli dice "sì, sei l'uomo della mia vita" e poi scappa con un altro, che fra l'altro lei aspettava da anni. Poi il nostro eroe deluso viene benedetto da tre magi che nel film sono insignificanti credono che lui sia il messia. Un film incomprensibile, anche e soprattutto perché interrotto da grandi narrazioni fuori campo di lettere scritte non si sa da chi, ma lungo e fantastico.
  • Listicky: film sull'integrazione. In realtà la storia di una scema che va in Irlanda e non fa altro che combinare una stupidaggine dopo l'altra. Prima cerca di uccidersi, e va be', si può capire soprattutto dopo che si è vista l'attrice, poi rifiuta l'aiuto della sorella, fa di tutto per farla violentare non chiamando aiuto, si vende a destra e a manca e dopo che ha trovato miracolosamente un fidanzato ricchissimo e di colore ben fisicato lo lascia e se ne va in un posto di darkettoni e punkabbestia. Un film incredibile nella sua devastante e insensata catena di sciocchezze, che altro non può essere se non un consiglio per non compierle nella propria vita. Per il resto, un film inspiegabile.


Filos

martedì 29 settembre 2009

The taking of Pelham 123 di Tony Scott


In giro per strada, si può facilmente notare su cosa ma soprattutto su chi produttore e distributore puntino per pubblicizzare “Pelham 123-Ostaggi in Metropolitana”. I primi piani sui due faccioni di Washington e Travolta dominano cartelloni e locandine e mettono subito l’accento su fama e bravura incondizionata delle due star, mai protagonisti insieme e mai a così stretto contatto. Il regista è Tony Scott, già “gestore” di talenti del calibro di K.Knightley (Domino) e B.Pitt (Spy Game) e garante sempre di azione, adrenalina ed effetti scenici. Basta poco per informarsi sulla trama, che è già tutta nel sottotitolo della pellicola: ancor più in soldoni, si parla di un dirottamento di una metro con relativi malcapitati ostaggi. Ed è ancor più semplice capire chi tra i due volti ritratti in affissione pubblicitaria, uno abbronzatamente pacioccone e spaesato, l’altro spietato già nello sguardo, sia quello buono e quello cattivo. A dirla così, sembra già tutto scritto e ci si chiede come si possano riempire più di 100 minuti con un’idea che parte parecchio scarna. Analisi errata. In un New York colpita nel suo cuore che batte sottoterra, vivono tesi monologhi alla ricerca della frase ad effetto di un Travolta dirottatore che con un occhio ai titoli di Wall Street fa il bello e il cattivo tempo. All’altro capo del telefono durante la lunga e vibrante contrattazione, un appesantito Denzel Washington dall’aria dimessa, che nell’economia della pellicola riveste un ruolo che va via crescendo e che piace per la semplicità da americano medio, con moglie e figli a carico e compromessi e colleghi da sopportare. Il più delle azioni che alzano il battito cardiaco per chi è amante del genere si concentrano nella parte finale in cui le chiacchiere cominciano a stare a zero e entrano nel vivo corse forsennate, automobili capovolte, dollaroni in auto blu, sparatorie e fughe. La cura della colonna sonora è mirabile e cardiologicamente mirata a serrare i ranghi dell’adrenalina, così come le riprese, le più godibili quelle dall’alto, osservazione paradossale per un film ambientato per lo più in metropolitana. Insomma tra una massima del belloccio di “Pulp Fiction” e un improvviso scatto da eroeperungiorno dell’ “American Gangster” statunitense, troviamo non un capolavoro certo, ma un avvincente thriller d’azione ben confezionato e senza dubbio gradevole.

Gi (ma Filos ha scelto l'immagine)

domenica 27 settembre 2009

Honeymoons di Goran Paskaljevic

Un aggettivo per definire questo film? Dolce. E se proprio mi dovessero chiedere due aggettivi, io direi dolce e amaro, anche se amaro viene dopo. Honeymoons racconta due storie separate, che mai s'icrociano ma molto si somigliano: giovani coppie che vivono tra la Serbia e l'Albania vorrebbero approdare in Occidente, dove dicono che si viva meglio, e che sembra tanto vicina sulle cartine ma in realtà è distante anni luce per colpa della burocrazia e di tutti gli impedimenti pratici che essa comporta. Ci si immerge così nell vita privata di questi ragazzi, nella loro quotidianità, fatta di credenze popolari, di vergogne, di grandi clan familiari, di tradizioni radicate e sradicabili, di feste ingombranti come matrimoni infiniti con tanta gente che suona balla beve e canta; di sguardi furtivi e invidiosi, di visi scontrosi, ma anche, e soprattutto, visi dolci, alla ricerca di qualcosa di dolce che nella loro amara quotidianità purtroppo non si può trovare. E mentre quel personaggio è innamorato di quell'altro, e quell'altro è il rivale di quell'altro ancora, mentre scorre la vita di tutti i giorni, in casa, all'interno di una coppia, di una famiglia, noi del pubblico possiamo apparentemente intravedere, in realtà comprendere appieno, la vita e le vicende che si animano fuori casa, all'aperto, sotto gli occhi di tutti e a portata di mano alla televisione. La guerra in Kosovo è il vero retroscena, i morti sul confine sono all'ordine del giorno, e ci sono due schieramenti rivali, o meglio, nemici agguerriti e violenti, ai limiti del terrorismo, che sostengono chi un esercito chi l'altro. E seguono le violente vicende di là fuori dal divano, o dalla televisione del bar sotto casa. E non solo dell'est si delinea uno sfondo socio-politico; verso la fine entriamo in scena noi, gli italiani che campano di corruzione alla dogana. Si crea così, con l'avanzare del film, un affresco in cui il primo piano lascia spazio al paesaggio sullo sfondo, senza ingombrarlo e anzi lasciando perfettamente intravedere ogni minimo dettaglio.

In ogni caso del film non ti resta questo, non ti resta la trama, e quest'analisi un po' così così; accogli un sapore di poeticità reso nostalgico da un'ondata di drammaticità pronta a invaderti ma forzatamente nascosta in un angolo.

E provi già a immaginare la tua luna di miele.
Magari così dolce.
Speriamo non così.

C. S.

giovedì 24 settembre 2009

The informant di Steven Soderberg


Quando ti sei appena seduto in sala, e le luci si sono spente, ti domandi ancora una volta se hai fatto bene a fidarti del nome del regista di un gran bel film come "Traffic", ma allo stesso tempo di un tentativo simpatico esageratamente replicato come gli "Ocean's" dal cast stellare ma dai risvolti non proprio entusiasmanti, così come altri dei suoi lungometraggi. Di certo Soderberg è uno che ci sa fare, e allora perché non dargli fiducia; anche a un Matt Damon assoluto protagonista, che pure ha dato prova di non essere così male, e a una simpatica locandina che recita "basato su un vero pettegolezzo". In realtà il protagonista di questa storia, mentre una musica ironica e country ci accompagna alla sua scoperta, è un dirigente di una società immischiata in attività non proprio lecite, e la prima difficoltà che il responsabile incontra è un virus che misteriosamente sta distruggendo la produzione dell'importante e facoltosa azienda di prodotti biologici. Ne parla con i suoi superiori, che cercano di prendere dei provvedimenti, e chiamano addirittura l'FBI perché si sospetta una manovra da parte dei nemici giapponesi.
Il personaggio di Matt Damon fa affezionare il pubblico, ad ogni modo, e ci si ritrova a partecipare a tutte le sue scelte: ispira quasi simpatia quella voce strana che proviene dalla sua mente e che nelle circostanze più disparate, nei momenti di più estrema tensione, è pronta a informare il pubblico con le più ovvie nozioni di biologia. Eppure c'è qualcosa di strano, mentre la pellicola continua a scorrere e a portare via allo spettatore secondi e minuti: si costruisce come un castello di carta che si capisce possa crollare, che si comprende possa portare a una risoluzione, a un inaspettato cambiamento di rotta, a un colpo di scena. Il momento di massima tensione, però, non arriva mai, e il film continua a dondolarsi sulle note esterne di musiche allegre e spensierate che cullano la trama e creano un contrasto con le vicende che si susseguono e che spiazzano lo spettatore. Quando finisce tutto quanto si ha come l'impressione di essere una parte di un imbroglio, o la stridente sensazione ironica di appartenere a un sistema che non funziona. E anche se si pensa alle cose peggiori che ad ognuno di voi possano venire in mente, che siano in grado di rapire il vostro buon senso e il gusto di vedere una commedia, tutta la proiezione a cui si è assistito lascia un sapore strano in bocca, un sapore ibrido, un intreccio ambiguo, e per qualcuno anche inspiegabile. Il castello di carta diventa un'amnesia da vino bianco, o un disco di free jazz.
Come una piccatina all'arancia.

Consigliato: dipende se vi piacciono le piccatine all'arancia.

Filos

mercoledì 23 settembre 2009

Whatever works di Woody Allen


"Sono un vecchio brontolone a cui non hanno ancora assegnato il premio Nobel, però ci sono andato vicino. E non guardatemi così, con quell'aria comprensiva o ancora peggio con quegli occhi che vorrebbero dire che sono un presuntuoso, che non mi accompagnereste neanche a prendere un caffè: nessuno ve lo ha chiesto e poi credo di avere già abbastanza problemi per non dovermene caricare degli altri. Quali sono? Beh, il semplice fatto che tutto finisca prima o poi e che l'entropia dell'universo sia in aumento non basterebbe ad accantonare tutto il vostro affanno, tutte le ridicole cose in cui credete? Certo, è ben difficile che riusciate a capire un grande genio come me, uno a cui avrebbero dovuto dare il premio Nobel per la fisica, e ci sono andato vicino. Credete ancora di potervi appendere alla lirica illusione dell'amore? Forse siete sufficientemente stupidi da continuare a crederci, da far finta di niente, abbastanza insignificanti da andare avanti comunque perché tanto la vostra vita ha un senso e comunque perché farsi queste domande...Ebbene, se ci riuscite bravi, continuate così, perpetuate le vostre ridicole credenze fino al giorno in cui potreste stancarvi, potreste scoprire l'unica verità: che voi non siete e non sarete mai niente e che l'amore non è altro che un'inutile speranza fantastica in cui cercare sostegno finché un giorno ti svegli e tua moglie ti tradisce con il tuo migliore amico. Insomma, la vita è un vero casino, non ci si capirà mai niente, e non date retta a tutta quella gente che per ogni evenienza tiene le mani giunte e implora un tizio che non esiste e che se esiste non è che gliene freghi poi tanto. L'alternativa è farla finita, ma io sono stato sfortunato, quella volta che ci ho provato, e non ci sono riuscito. Per il resto, direte che sono un vecchio brontolone, ma in realtà sono un grande genio, che ha formulato l'unica teoria possibile dopo l'universo senza stringhe; provate a fare finta di niente e, perché no, buttatevi su un amore mediocre che serva solo a tenervi in vita.
Basta che funzioni."

Immaginate che abbia parlato il protagonista del film, ovviamente, in realtà mi sono (quasi) inventato tutto.

A me è piaciuto, checché se ne dica, e lo porterei con me se mi chiedessero di scegliere i migliori dieci film di W.A.

Filos

martedì 22 settembre 2009

Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli

Essendo una pellicola non proprio di prim’ordine in quanto opera prima e sinistroide, i multisala coprono altre esigenze di tipo commerciale e le sale che offrono le loro poltrone e le loro biglietterie alla Nicchiarelli e al suo Cosmonauta sono poche, piccole e circondate da intenso traffico e pochi spazi liberi per il parcheggio. Con forte sorpresa, arrivo puntuale nonostante i già citati problemi logistici. Lo spettacolo scelto è l’ultimo del venerdì, le poltrone occupate saranno poco più di 20. Mi verrebbe da urlare che c’è più elettorato di sinistra qui dentro che nelle assemblee Pd. Riesco incredibilmente a trattenermi. Dopo le immancabili cinquesei paia di trailer, apprezzo con simpatia l’originale trovata del corto animato, diretto dalla stessa esordiente regista: scanzonato, disinvolto, spassoso. E con la qualità di introdurre alla principale tematica della pellicola ossia la corsa allo spazio, vista nell’ottica dei successi sovietici. Poi via, titoli d’apertura e occhi puntati sulla piccola giovinetta, protagonista già da subito di una gridata dichiarazione di anti clericalismo e conseguente schieramento politico. Anni 60. Le immagini che la Susanna regista ci propina sono di una Roma col sole al tramonto, con interni tempestati di carta da parati, scarna argenteria, televisore a colori. Paneamorefantasia di un proletariato che pare non esserci già più; i cortili sono quelli modesti e con poche pretese della Magliana, le movenze degli abitanti sono fortemente connotate di ponentino: ganascini, bacioni e via dicendo. I socialisti sono traditori all’occhio del falce e martello, i risultati elettorali tengono incollati alla tv manco fosse la finale dei mondiali, la lingua che viene fuori è a metà tra il romano spiccio ma quasi mai spinto del quotidiano giovanile e il russo di Kruscev, Gagarin e radiogiornalisti tirati dentro con buon tempismo nel corso del lungometraggio. Entrate sceniche che in base al loro valore e alla loro importanza politica corrono di pari passo alle avventure di Luciana, della sua famiglia sbilenca, del suo circolo comunista e delle sue storie storielle adolescenziali, banali ma non troppo e che portano via a me spettatore un sorriso a volte candido a volte ammiccante. Le note sono di quegli anni, ma rivisitate male da voci contemporanee sconosciute; su questo, si è risparmiato. Guest star la Pandolfi, che smette in questo film di ricordarmi i fasti di fiction targate Mediaset e che s’acconcia a donna del tempo: chioma cotonata, ansie da madre che ne ha viste tante e qualche compromesso per tirare avanti la baracca. Buono anche Rubini, che o stempera l’ambiente, almeno per lo spettatore, o lo avvampa con fare prima bonario poi autoritario. In generale molta solitudine con gli occhi all’insù, verso il cosmo e le conquiste russe, per dire che davvero poteva essere possibile un successo acceso di rosso. Una passione e una speranza vera che diventa quasi beffa nel fotogramma a chiusura del film. Il pubblico nella mia sala sa già che non uscirà triste dalla porta del cinema: s’era già rassegnato trent’anni prima di questa serata pre-invernale nei pressi di Porta Pia.

Gi

Ice age 3 (L'era glaciale 3:l'alba dei dinosauri) di Carlos Saldanha

Cominciano le recensioni del nostro neosito.

Questo mese, il film che è prevalso nella mia rubrica "L'angolo dei piccoli", è stato L’Era Glaciale 3 nella versione tridimensionale .
Il seguito della saga del simpatico gruppo “preistorico” formato da due mammut (Manny e Ellie) , una tigre il cui nome è Diego, due simpatici opossum, Crash e Eddie, e un divertentissimo bradipo: Sid.
I nostri amici si avventureranno in un mondo sotterraneo dove i pericoli non mancano, per salvare Sid che come sempre si caccerà nei pasticci.
La trama del film è avvincente e divertente infatti io stesso quando sono andato a vederlo sono rimasto in alcuni punti con il fiato sospeso.
L’unico difetto di questo film (solo della versione in 3d) è che non si nota molto la differenza tra la versione in tre dimensioni e quella bidimensionale; per cui direi che non vale la pena spendere soldi in più per vedere il film tridimensionalmente se poi le differenze sono quasi nulle...
questa è stata la mia prima recensione. spero che ci risentiremo presto... al prossimo mese! anzi al prossimo cartoon!

Omonimino