venerdì 30 ottobre 2009

Eva e Adamo di Vittorio Moroni


In realtà il regista è un amico di famiglia, uno che mi ha inviato una cartolina, perché sa che faccio la collezione - e a ripensarci gli voglio proprio bene - da un viaggio in Bangladesh, o meglio, dalle riprese di un film in Bangladesh. Il regista è un ragazzo caro, con qualche esperienza alle spalle, ma piccole cose, pellicole nascoste, all'ombra di distribuzioni limitate, ma che ogni volta si rivelano enormi nel loro significato, perline luccicanti perse in una spiaggia di sabbia.

Occorre specificare il fatto che il film non è un film, o meglio, è un film-documentario, ovvero un film i cui personaggi non sono fittizi, pura invenzione, ma reali, e perdipiù non sono attori di mestiere, ma semplici donne e uomini (e bambini e vecchine) prelevati dalla vita di tutti i giorni. Individualità fantastiche, in una realtà arida, che è quella della vita. Personaggi meravigliosi pescati chissà come nel caos del mondo, piccoli diamanti in una discarica di vetro.
Le storie sono tre; via via ci sono accuratamente svelate, in una Milano provinciale e in una provincia milanese, e senza accorgercene ecco che il film è finito, anche se una fine non c'è, come un inizio, che non c'è, perché la vita era già iniziata, e continuerà ancora, per Erika, Veronica e Deborah.
Erika è una ricca vecchina unica al mondo nel suo genere: scrive romanzi rosa (e fin qui nessun problema), ha, e non è il primo di questo genere, un giovanissimo marito del sud del mondo, senegalese (già qui non capita tutti i giorni) e presenta un atteggiamento connaturato apparentemente "razzista" nei confronti degli extracomunitari (ecco); o meglio, parla dei suoi mariti a cui dice di volere tanto bene con un che di distaccato, li chiama "loro" come se fossero alieni strani che però, dopo tutto, per molti aspetti sono come noi, anche se "loro" hanno la pelle scura, diversa, e parlano un'altra lingua "primitiva". Subito rischi di affezionarti a questo personaggio dalle mille contraddizioni, e quando il film finisce ti chiedi dove l'hanno trovata, una così, e come fa a esistere veramente e a non essere una buffa invenzione letteraria uscita da non so quale libro.
Veronica è un'infermiera che non ha avuto un'adolescenza facile, tutt'altro; un dolore straziante inaspettato, precoce per una ragazza, che l'ha segnata per tutta la vita. Per fortuna che questa vita, ogni tanto, ci riserva qualcosa di buono, e per Veronica ha pensato a una vera e propria apparizione, una rivelazione: l'incontro con un uomo divorziato e un grande amore, un vero amore. Ma forse questa è la storia più triste, più vicina alla commozione, più aspra e difficile da accettare per lo spettatore. Soprattutto se si pensa alla sua veridicità, ricordiamolo.
E poi c'è Deborah, anche qui un pizzico di contentezza in un oceano di problemi, perché lei ha avuto a che fare con la pornografia, un lavoro consapevole, sì, ma anche un vortice a cui non sembra voler voltare le spalle. E il giovane marito, e il figlio che sta per nascere, e i soldi che non bastano mai. E' la vita.

Forse ho svelato troppo, anzi, sicuramente ho sminuito tutto.

Che dire, vai al cinema convinto di vedere un "filmetto" ed esci che hai visto un film bellino bellino, piccino picciò.

C. S.
P.S.
Leggo che il titolo è tratto da un racconto di Carter, ma, detto fra noi, chissene importa. Giusto una delle tante citazioni che ci ritroviamo costretti a fare e a indovinare.

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